1985 -     Galleria d'Arte Comunale, Campobasso   -  "AMAZONOMACHIA"
 
                                                                                      Presentazione in catalogo di Marcello Venturoli
 










La pittura di Gianni Pontillo

Con puntualità paterna e consapevolezza consu­mata delle cose dell'arte nel Sud, Ciro Ruju scriveva, presentando Gianni Pontillo nella sua prima mostra personale d'impegno (ottobre 1983) della "indagine antropologica" del casertano nelle sue già tipiche "processioni", "in una sorta di messa a fuoco ravvici­nata" di particolari posti "in primo piano, facendoli divenire opere a sé stanti, attraverso una ricchezza coloristica emergente dall'aspazialità del bianco della tela": operazione questa che, da una parte, teneva conto del folklore vitale e dialettico delle feste paesane in una vaga nostalgia morelliana e michettiana e, dall'altra, traducendo in una sorta di zoom fotografici il realismo ottocentesco, lo astrattizzava direi quasi lo storicizzava, spiazzando­ne i connessi, facendo di queste scene di vita, apparizioni e reperti della memoria.
Nella indagine di costume di Pontillo il mezzo primario adoperato non era quello dei maestri naturalisti, il bozzetto, lo schizzo dal vero da elabora­re poi a studio con qualche sintesi; all'opposto, l'artista rifaceva dalla fotografia o da una parte di essa, la pittura, ora isolando nell'apparenza di una evocazione di personaggio, uno dei componenti delle sue processioni, o collocando in uno spazio a se stante il paesaggio, ora costruendo vicino a quelle figure prodotte da un'ottica da mass media., figure e spazi tutti dipinti. Nella fantasiosa e irrequieta officina dell'artista casertano l'esperienza post pop, nel senso di una pittura che fa i conti col mezzo meccanico, che è riporto di una immagine ottica dentro uno spazio

astratto, si legava anche a recupe­ri oggettuali tardo realisti, diciamo della "nuova figurazione"; l'attenzione alla vita sociale, il rispetto per la classe popolare e contadina (che parte addirit­tura dal neo realismo di un Guttuso anni Cinquanta) non erano intesi in presa diretta, ma mediatamente: come a dire che i cantori popolari in chiave di immagine non sono, nel Meridione, fatti per filo e per segno a somiglianza dei bisnonni.
Piacevano in modo particolare ed io stesso ne segnalai al Premio Michetti qualche notevole esempio, certi dettagli, borchie, medaglioni, cinture, nappe, piedistalli, lanterne che, se ponevano l'accento sapidamente sul fasto tra barocco e superstizioso di certe manifestazioni, non raggiungevano mai il feticismo dei "madonnari" di Franco Solmi, quasi tutti di origine campana, che ponevano l'og­getto trovato a livello dell'ex voto. Nei "dettagli" di Gianni Pontillo era la chiave di lettura della sua modernità, la certezza che ogni eredità naturalistica e teatrale egli poteva spendere col distacco dell'artista moderno, a completa conoscenza dell'avanguardia. E il fatto stesso che l'artista sia stato capace di dare da particolari come "Il saio" (1983) "Processione" (1982) - quest'ultimo raffigurante un medaglione al collo di un religioso - una immagine globale e definitiva, creando un altro centro di visuale e facendo di questa "notizia" la suggestione poetica, fa concludere che Pontillo fosse, già prima di questa  
                                                                                                                                                                                                                         (segue)
testo di Marcello Venturoli